
Il cycling influencer che abbiamo scelto di intervistare oggi non ha davvero bisogno di presentazioni!
25 anni di esperienza in bicicletta, ambassador italiano dell’ultracycling: stiamo parlando di Omar Di Felice!
Ecco cosa ci ha raccontato su di lui, sulla sua disciplina e sul modo di trasmettere emozioni attraverso i social media!
– Ciao Omar, quando è iniziata la tua passione per la bicicletta?
La passione è iniziata con un vero e proprio colpo di fulmine. Erano le estati di inizio anni ’90, quelle in cui passavo i pomeriggi a guardare ammirato le imprese dei ciclisti al Tour de France e da allora, complice anche le grandi cavalcate in salita di Marco Pantani, è sbocciato l’amore. Un amore che dura, ormai, da oltre 25 anni.
– Cosa significa essere un ultracycling man?
L’ultracycling è la declinazione più estrema, solitaria ed avventurosa del ciclismo. Inizia laddove finisce quello tradizionale e investe, nel mio caso, i vari aspetti della vita essendone diventata parte integrante oltre che professione a tutti gli effetti. Anche dal punto di vista concettuale (il tanto inflazionato “superamento del limite”) essere un Ultracyclist significa avere la capacità di andare oltre. Oltre le difficoltà, le percorrenze, i tempi “normali” di durata delle ride in bicicletta e delle gare estreme. Significa “non fermarsi” letteralmente alla prima difficoltà ed essere in grado di tramutare ogni ostacolo in una nuova prova/opportunità per scoprire qualcosa in più di se stessi, quella affascinante “macchina-uomo” che proprio grazie ad esperienze al limite ho imparato a conoscere e governare sempre meglio.
– Stai collezionando un’impresa dopo l’altra. A quale si più affezionato?
Non amo stilare delle classifiche quanto, piuttosto, ricordare tutte le esperienze affrontate come tappe fondamentali e momenti di crescita in quel lunghissimo percorso che ho deciso di intraprendere quando da semplice “appassionato” ho scelto di provare a far diventare una professione vera e propria la mia attività. Riguardo sempre indietro con un pizzico di tenerezza per quell’Omar che si imbatteva, talvolta anche in maniera un pò ingenua e inconsapevole, in esperienze lunghe e difficili. Tanto La prima lunga gara di Ultracycling, alla Race Across the Alps quanto il primo viaggio in solitaria da Lourdes a Santiago de Compostela pedalando con uno zaino di 20 kg oltre 400 km al giorno, arrivando alle recenti esperienze invernali in alcuni dei luoghi più estremi al mondo (Islanda, Lapponia, Alaska o Mongolia, ad esempio)
– Sui social network sei diventato ormai un punto di riferimento. Come hai approcciato al mondo del web e come vivi questo lato della tua attività?
Credo che i social network e, più in generale, il mondo del web siano un potentissimo strumento nelle mani di chi, come me, abbia bisogno di trovare un canale di comunicazione per raggiungere quante più persone possibili. Senz’altro 20 o 30 anni fa sarebbe stato molto più difficile “raccontare” le mie avventure e fare della narrazione un vero e proprio motivo professionale. A riguardo, però, sono anche molto critico. Le nuove generazioni (e in parte anche le precedenti..) non hanno capito che il web e i social network sono SOLAMENTE lo strumento comunicativo. Ma, di base, il contenuto è sempre lo stesso e siamo noi a doverlo “scrivere” letteralmente attraverso i fatti e le azioni che compiamo. Purtroppo questo è un passaggio che molti perdono, credendo che basti una bella (talvolta neanche quella) apparenza affinché si possa avere successo. Aver pubblicato un libro riguardo alla mia esperienza e a tutte le avventure (ciclistiche e non) che hanno caratterizzato la mia vita, edito da una casa editoriale di prestigio come la Rizzoli, è senz’altro uno dei miei motivi d’orgoglio maggiori.
– Il tuo set up ideale?
Il setup è variabile in base al tipo di avventura/gara/esperienza che devo affrontare. Durante le gare di Ultracycling su asfalto (gare che arrivano anche ai 7000 km nostop della Transamerica bike race) prediligo il massimo della performance e della leggerezza possibile, sacrificando molto “il carico” generale della bici e lesinando al massimo su tutto ciò che è superfluo. Ciò si traduce in una bici dal telaio molto leggero (aero o meno in base al percorso che devo affrontare), spesso con componentistica top di gamma (imprescindibile il Dura Ace di Shimano in setup Di2 elettronico). In caso di avventure invernali, invece, prediligo una bici con telaio da gravel dove poter alloggiare gomme di sezione maggiore, il più delle volte con l’ausilio di alcuni inserti chiodati nelle coperture per agevolare la guida su ghiaccio, e gruppo Shimano GRX meccanico per prevenire eventuali problematiche legate alla gestione dell’elettronica in situazioni di freddo estremo. (In caso di temperature sino a -30°C e in luoghi remoti come il Deserto del Gobi – Mongolia – ad esempio, sarebbe quantomeno problematico dover gestire un malfunzionamento dell’elettronica con tutti i rischi per la propria incolumità che ne deriverebbero)
– Un consiglio ad un giovane che vorrebbe avvicinarsi al mondo dell’ultracycling?
Gradualità, passione, dedizione. Questi sono i tre ingredienti chiave. L’ultracycling in quanto disciplina di “ultra endurance” richiede un percorso altrettanto lungo per essere assimilato e fatto proprio. Farne una professione, poi, è qualcosa di molto difficile con delle dinamiche che riguardano non solo la parte atletica ma anche quella gestionale. Spesso ci si dimentica che, essere atleti nel 2020, significa anche essere in grado di comunicare, di organizzare e di raggiungere le persone attraverso le proprie azioni. Motivo per cui, come nel mio caso (mi sono laureato nel 2002) è imprescindibile un percorso di studi che accresca la nostra cultura e le nostre competenze.
Omar Di Felice sarà ospite alla terza edizione di Italian Bike Festival, dall’11 al 13 settembre, al Parco Fellini di Rimini.
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